Rough Kiss

22/05/2514
h.09.37

Fumo, denso e grigio. E' buio attorno a me, sento le punte delle dita formicolare fastidiosamente e la testa leggera. Credo di puzzare d'alcool, e credo siano poche le donne del Core che possano vantare questo odore. C'è caos, musica, un vociare perpetuo e ovattato. 
Mi muovo lentamente nell'oscurità alla ricerca di un appiglio, sento una canzone familiare infilarsi nelle mie orecchie, ma è troppo bassa perché io possa riconoscerla. Allungo le mani di fronte a me e percepisco pelle calda, sudata, a contatto con i polpastrelli. Vorrei staccare le mie mani, ma non riesco. Schiudo le labbra per parlare, ma qualcosa mi soffoca. Sento pungere, dev'essere barba, è un bacio aggressivo, eppure le labbra che premono contro le mie sono morbide. So che vorrei pensare a come potermi staccare, a come evitare tutto questo, ma il cervello si spegne. So che sto sognando, ma è uno di quei sogni vividi che sanno di ricordo di qualcosa di realmente vissuto, modificato dalla mente, dall'inconscio.
E il bacio dura a lungo, più di quanto davvero ricordi.


Akurl è vivo, è sano e salvo.
E io ho un mal di testa terribile, e le martellate sulle tempie e la puzza della pipì di Cagnaccio sul tappeto del soggiorno sono stati una sveglia poco simpatica.
Credo fosse una sorta di vendetta, la sua. Sono tornata a casa tardissimo per colpa della festa al Crazy Horse e gli ho fatto saltare la cena e la passeggiata di mezzanotte, e la cosa buffa è che mi sento in colpa come se avessi tradito il mio fidanzato di sempre.
Un cane come fidanzato ufficiale, devo essere messa proprio male.
E la festa al Crazy Horse... 
C'erano un sacco di persone, e l'alcool a metà prezzo. Era da un po' che non mi prendevo una sbronza del genere, di quelle allegre, che non ti fanno pensare a niente.
Sentivo il bisogno di festeggiare, di liberarmi dal peso delle preoccupazioni degli ultimi tempi. Il dottore è vivo, e io dovevo brindare alla felicità di saperlo al sicuro, di sapere che almeno uno dei tanti guai era finito. 
Mickey mi ha dedicato una canzone che sembrava parlare di me.



From the dawn of time to the end of days,
I will have to run... away.
I want to feel the pain and the bitter taste
of the blood on my lips... again.


Mi ha cercata tra la folla, in modo che tutti potessero vedere in volto la donna per la quale stava cantando. La donna "cazzuta", la sua unica amica. Così mi ha chiamata. 
Avrei voluto staccare le assi di legno dal pavimento del saloon e scavarmi una fossa, nessuno mi aveva mai dedicato una canzone prima, e sentirmi al centro dell'attenzione è stato terribilmente imbarazzante. 
E' stato quello a convincermi a farmi fuori altri bicchieri di doppio whisky, inesorabilmente.
Quello, e il fatto che vederlo cantare per me mi abbia fatto piacere, che io lo abbia trovato un gesto carino, apprezzabile, dolce. Il fatto che io abbia trovato dolce il gesto di un uomo nei miei confronti mi ha spaventata, imbarazzata, condotta per l'ennesima volta sulla cattiva strada, quella dell'alcool.
Alla fine io e Dhemetra ci siamo ritrovate abbracciate a ballare in mezzo a una marea di uomini ubriachi e allegri quanto noi, e mi sono resa conto, guardandola sorridere, che era da un bel po' di tempo che non mi sentivo così spensierata. Lei è una buona amica, una compagna di crimini non crimini, un tornado di energie che mi ha lanciata tra le braccia di quel rozzo barman non appena è sceso dal palco per venire a cercarmi.
E allora mi sono divisa in due. Gli ho dato un bacio sulla guancia per ringraziarlo della canzone, e l'ho fatto con un sacco di sincerità, ma l'altro lato di me, quello indignato e ribelle, mi ha portata a mollargli un calcio nelle palle. E' stato l'inizio della fine: abbiamo iniziato a fare a botte in mezzo al caos del saloon in festa, e non so come mi sono ritrovata le sue mani arpionate ai fianchi e le sue labbra premute contro le mie. Odorava di uomo, di tabacco, di cuoio, e per un brevissimo istante mi ha ricordato Ryan. E' stato il bacio più rude che qualcuno mi abbia mai dato, appioppato con forza, e forse il fatto che le labbra di Mickey fossero così morbide mi ha indotto a mordergliele con forza per farlo staccare da me. Sento ancora il sapore del sangue sulla lingua, se mi concentro. Gli ho mollato un pugno con forza, ma poi ci siamo divisi sorridendo. Non so come l'abbia presa, non volevo fargli male. Ma non volevo nemmeno che mi baciasse. Un bacio non dovrebbe essere dato in questo modo, ero impreparata, vulnerabile, ubriaca. E indignata. Ancora adesso, troppo abituata al mio continuo bisogno di tenermi lontana dalle relazioni sociali, non riesco a capire perché lo abbia fatto.
Sono confusa, e una domanda continua a martellarmi in testa: come diavolo sono tornata a casa?

Bad day

18/05/2514
Safeport, h.10.54

Siamo ancora bloccati su questo cesso di pianeta in attesa che ci arrivino i pezzi necessari per riparare la Banshee. Sono due giorni che ci spostiamo da un punto "sicuro" all'altro, tra canyon desolati sotto un cielo viola quanto il mio umore. 
Per quanto ne sappiamo il dottor Zaret potrebbe anche essere già morto, e la cosa che più mi fa imbestialire è che proprio quando avevamo un piano ci hanno fatto saltare dei pezzi di nave, riducendoci come animali in gabbia.
Scommetto che la Flotta non sta facendo nulla per trovare Akurl. Sono bravi solo a parlare e a prendersela con le persone innocenti, ma quando si tratta di prendere dei fottutissimi criminali improvvisamente spariscono dalla circolazione, riapparendo solo quando è il momento di metterti i bastoni tra le ruote mentre stai facendo il tuo dannato lavoro. E se anche li prendessero cosa farebbero loro? Li sbatterebbero in cella per quanto? Una settimana, due? E poi tornerebbero liberi di rapire, bombardare, uccidere, rubare. 
Sono nata e cresciuta su Capital City, ma penso che la gente dei pianeti centrali non si renda conto di come stiano le cose là fuori, visto che non credono nella pena di morte.
Negli ultimi anni ho visto così tanta morte e così tante ingiustizie che a volte ho la tentazione di mandare a 'fanculo le leggi dell'Alleanza e andare a far giustizia da me. Prenderei tutti quelli che volano su quell'Avenger e li riempirei di pallottole, uno per uno, affinché mi restituiscano il dottore, perché sono certa siano stati loro a rapirlo. Se solo riuscissimo a trovarlo e scoprissi che gli hanno torto anche solo un capello, li ricambierei con la stessa moneta, triplicandola.
Sono stanca di questo poso, e il mio fegato sta per scoppiare. Devo aver perso almeno un chilo in questi due giorni, dato che ho snobbato il cibo per dedicarmi all'alcool. Non ho parlato granché nemmeno con gli altri, e mi sento uno schifo per questo, ma non riesco a darmi pace. Nemmeno Cagnaccio riesce a starmi vicino e tirarmi su di morale, sembra essere stato influenzato dalla rabbia e dallo sconforto di tutti.
Come se non bastasse, Zoya si è messa a piangere sul latte versato dopo aver fatto mille cazzate, offendendosi perché quando è uscita dal carcere non ha trovato nessun Phantom ad accoglierla a braccia aperte, pur sapendo che io fossi bloccata su Greenfield accusata di occultamento di cadavere prima, e su Safeport poi, e pur sapendo che la massima priorità va al ritrovamento del dottor Zaret, situazione grave che lei, in quanto ex complice di Murdock, dovrebbe conoscere molto bene.
A volte mi chiedo dove sbaglio, e se il resto dell'equipaggio capisca quanto tenga ai Phantom, se capisca che sarei disposta a dare la mia vita per loro. Mi chiedo se vedano i miei sforzi o se siano troppo presi dalle loro tresche amorose, dai loro segreti, dai loro rimpianti per rendersi conto che io vivo per loro e per quella dannata nave. 
Mickey, quel rozzo barman del Crazy Horse, si è offerto di prendersi dei giorni di ferie e di raggiungermi, ma gli ho fatto capire che no, non voglio lo faccia. In realtà ho mentito, una presenza allegra come la sua gioverebbe sicuramente al mio umore, ma non voglio creare problemi agli altri e soprattutto non voglio rischiare di mettere un'altra vita in pericolo, dato che ovunque metta piede mi ritrovo in qualche guaio.
Vorrei solo dormire, e svegliarmi solo quando i guai saranno stati risolti.
Ma non posso, e sono adulta, e l'unica cosa che posso fare è lucidare le mie revolver in attesa che l'equipaggio di Vergil ci porti il portellone di carico nuovo in modo da poter andare a caccia di stronzi.
Che brutta giornata.

Beasts

Bip. La registrazione video è stata avviata dal cortex pad, modalità infrarossi attiva.


Il volto di Lydia è pallido e sconvolto, i capelli corti fradici, qualche ciocca appiccicata alla fronte e qualcosa di parecchio grosso avvolto in un panno giace sulla sua spalla destra.
"Qui Lydia Evans, è il sette maggio e ci troviamo nella sede della GenTech, rotta 3-2-0, su un asteroide posizionato tra il Rim e il Border." 
Si guarda attorno per un breve istante, una ruga di preoccupazione a solcarle la fronte. Di sottofondo si sente il suono di qualche tuono molto forte, segno che c'è un temporale in corso.
"Quinn, puoi far luce?" Domanda il capitano dei Phantom Contractors, inquadrando la donna coi capelli biondi dal naso arricciato in una smorfia di disgusto. "Attiva la modalità infrarossi, non so quanto possa resistere la carica" le risponde, strappandole un piccolo sospiro rassegnato. "E' già attiva."
L'inquadratura si sposta sull'uomo altissimo, biondo, intento a scattare foto a vari terminali spenti.
E' una stanza piuttosto grande, terminali e computer disposti sulle pareti, i vetri delle finestre sfondati, alcuni rampicanti stanno iniziando a fare capolino. A terra dei corpi, che la telecamera inquadra da vicino. Sono uomini con una divisa blu di provenienza sconosciuta, piegati in posizioni innaturali, le ossa spezzate, frantumate, brandelli di carne in putrefazione ancora attaccati ai teschi.
"Cosa hanno fatto..." mormora la voce di Lydia, flebile.
L'inquadratura trema, e inizia a spostarsi verso l'esterno della stanza, lasciandosi il vociare di Ace e Quinn alle spalle. C'è un corridoio disseminato di cadaveri e di riproduzioni di quelli che sono, letteralmente, dei mostri. Grossi, spaventosi, sembrano enormi rettili con fauci terrificanti e occhi piccoli e minacciosi. Sono identificati con delle targhette che riportano quelli che, probabilmente, sono i loro nomi: Tirannosauro, Brontosauro, Raptor, Triceratopo... 
"Sono quelli che a quanto pare vengono definiti "dinosauri", ma non so esattamente cosa siano. Ostili, questo è sicuro, a giudicare da come hanno ridotto questo posto. Sono qua fuori, fanno tremare il terreno, urlano. Forse vogliono darci la caccia."
Una pausa, mentre la telecamera si ferma di fronte a quello che è un Tirannosaurus-rex della Terra-che-fu, i denti aguzzi e la pelle squamosa come quella dei rettili.
"Questo posto è completamente abbandonato, ci sono erbacce e rampicanti che si arrampicano sul cemento, ma probabilmente fino a un paio di anni fa era la sede di una corporazione scientifica che ha cercato rifugio su un meteorite sconosciuto a chiunque per poter eseguire degli esperimenti in totale libertà" constata la voce di Lydia, prima che la telecamera le faccia un primo piano. Si mordicchia il labbro inferiore con fare nervoso, sistemandosi il fagotto in spalla. "La base era protetta da una recinzione elettrificata che sicuramente serviva a tenere lontane le bestie che creavano con i loro esperimenti, che dovrebbero essere quelle che ho appena inquadrato." 
Piega le labbra carnose in una smorfia disgustata, fissando un punto oltre la telecamera con la quale si sta riprendendo.
"Non è servito. Quelle cose hanno squarciato le reti e hanno fatto fuori tutti gli uomini, fuori e dentro la base, e ora girano indisturbate per la giungla di questo meteorite, sotto un temporale perenne e un cielo nero come la pece. Sembra di essere in un film dell'orrore, cazzo." 
Un altro tuono fa vibrare quello che è rimasto dei vetri delle finestre e la fa sobbalzare lievemente, quasi temesse di trovarsi alle spalle una di quelle creature riprodotte nei modelli registrati poco prima.
"Il lezzo di morte e putrefazione qua dentro è asfissiante, eppure ho avuto il coraggio di far su uno degli uomini nel mio cappotto e di caricarmelo in spalla per farlo esaminare dal dottor Zaret." ... "Fa paura. Fa paura pensare a cosa hanno fatto, a cosa hanno creato."
Tace per un minuto buono, lo sguardo perso in un mare di riflessioni, timori, incertezze.
"Abbiamo provato ad attivare i terminali, ma abbiamo bisogno di un generatore. Questo significa che dovremo tornare quanto prima per scaricare i dati e scoprire che diavolo di esperimenti facessero quei pazzi. L'idea di rimettere piede su questo posto ed esplorarlo meglio mi fa rivoltare le viscere e mi fa eccitare al tempo stesso, forse la pazza sono io." 
Un sospiro, il volto di Lydia illuminato da un lampo particolarmente intenso, seguito dal rombo violento dell'ennesimo tuono.
Le voci di Quinn e Ace interrompono l'intimo momento di riflessione, intimando il Capitano a spegnere e andarsene da lì per tornare alla nave, alla adorata Banshee, la salvezza in mezzo a un mondo selvaggio e pericoloso.
"E va bene. Ma non finisce qui" mormora Lydia, schiarendosi la voce per cercare di mascherare quanto debole sia.


Bip. La registrazione video è stata interrotta, modalità infrarossi disattivata.

Legends

Il drago è una creatura mitico-leggendaria dai tratti solitamente serpentini o comunque affini ai rettili, ed è presente nell'immaginario collettivo di tutte le culture della Terra-che-fu, in quelle occidentali come essere malefico portatore di morte e distruzione, in quella orientale come creatura portatrice di fortuna e bontà.


22/04/2514
h.14.20


Mia madre mi aveva parlato di queste creature alate capaci di sputare fuoco che, secondo molte leggende della Terra-che-fu, attaccavano villaggi e persone lasciando solo cenere dietro di sè. Secondo lei nemmeno la gente della Terra credeva a queste storie, eppure quelle creature erano presenti in ogni racconto.
Non credevo avrei mai vissuto qualcosa che mi avrebbe fatto tornare in mente i racconti di mia madre, facendoli apparire nella mia memoria come qualcosa di terribilmente inquietante.
Un meteorite, una luna che nessuno conosce, con atmosfera, quindi abitabile.
Una giungla selvaggia, un ecosistema inesplorato colpito dalla pioggia e incoronato da un cielo nero come la pece. Sentivo il cuore battermi nel petto all'impazzata al solo pensiero di poter essere la prima a sorvolare quel luogo inquietante e affascinante... Finché dalla nebbia non è uscita una creatura gigantesca che sembrava veramente uno dei draghi delle leggende di cui mi parlava mia madre: aveva ali enormi che parevano di cuoio, una coda lunghissima, il cranio appuntito e delle fauci mostruose. Sembrava un incubo, una visione così insolita che per un istante mi è stato impossibile percepire qualsiasi cosa, non ho nemmeno provato paura finché quella cosa non ha spalancato le fauci, come a volerci invitare ad affrontarla.
Bianca, la pilota del Raptor con il quale stavo tornando verso Greenfield, ha virato evitando una collisione con la creatura e ha pensato bene di volare via, nello spazio nel quale stavamo viaggiando prima di scoprire quel luogo. Ancora adesso, sdraiata sul letto e circondata dal silenzio assoluto, non riesco a fare a meno di domandarmi se non fosse soltanto un sogno.
Mi si stringe lo stomaco dalla paura se penso a quello che ho visto, ma non posso ignorarlo.
Devo tornare in quel posto, e scoprire che cosa diavolo si nasconda oltre quella barriera di nebbia.

To make someone happy

16/04/2514
h.00.30
Luna Verde di Deadwood


Uomini della terra, così ci hanno chiamato quei bambini urlanti e felici quando hanno raggiunto il magazzino che stavamo sorvegliando.
Noi eravamo gli uomini che stavano aiutando quei campesinos a cambiare le loro vite sorvegliando il capannone nel quale si trovava il prezioso prodotto che avrebbe reso le loro terre nuovamente fertili.
Ma questa volta non ci sarà la Triade a illuderli di poter donare loro una vita migliore coltivando droga, la stessa droga che ha ucciso Ryan e chissà quante altre persone. Come si può considerare il Blast una salvezza, una fonte di vita e di speranza? 
Mio padre mi ha sempre detto che la gente del Rim è ignorante e che la loro linea di pensiero va cambiata radicalmente, anche con la forza se necessario. Vorrei poter avere il suo volto duro e i suoi occhi di ghiaccio davanti per potergli sputare sugli anfibi lustrati da militare alleato e dirgli che l'ignoranza di quella gente va combattuta con dei buoni gesti e con la gentilezza, che quello è l'unico modo per rendere la loro vita migliore.
Quelle donne ci hanno donato delle stuoie intrecciate da loro poco prima, un oggetto per loro di grande importanza con il quale hanno voluto ringraziarci e dimostrarci che sono grati. Danzavano attorno al fuoco e cantavano inni di gloria, erano felici, e non c'è nessuno che possa impedirmi di continuare a combattere per aiutare qualcuno.
Non può la Triade, né mio padre. Nessuno può farlo.

Too Late

"Hai dei bei capelli."
"Perché diavolo continuate tutti quanti a dirlo?"
"Perché è vero, e non m'interessa quello che dicono gli altri."
Ryan era un ragazzo alto e abbastanza muscoloso da uscire vincitore dal novanta per cento delle risse in cui amava ficcarsi. Le sue braccia erano forti, e Lydia amava lasciarsi stringere: stranamente non si vergognava pur essendo estremamente piccola e fragile rispetto a lui. Ryan sapeva che con quel piccolo gesto riusciva a farla stare bene, per cui lo faceva spesso. La attirava a sé e la stringeva abbastanza forte da non permetterle di sgusciare via, ma non abbastanza da farle male. 
Quel nove settembre era il diciassettesimo compleanno di Lydia, e lui aveva deciso di portarla su quello che secondo lui era il grattacielo più alto di Capital City. In teoria non avrebbero potuto arrampicarsi fin lì, ma di notte nessuno ha fatto caso a due figure solitarie che utilizzavano le scale d'emergenza esterne per raggiungere la terrazza.
"Grazie, allora."
Era imbarazzata, glielo si leggeva in faccia: per Ryan quegli occhi nocciola erano come un libro aperto che gli raccontava direttamente la storia di Lydia, sguardo dopo sguardo. Lui, invece, rimaneva un enorme mistero per lei. Ryan sapeva benissimo che c'erano cose che non avrebbe mai potuto rivelarle, perché l'avrebbe fatta stare male e riteneva che quello scricciolo avesse già sofferto abbastanza per osare scaricarle nuovi pesi sulle spalle fragili. Al contrario di Lydia, lui era bravissimo a nascondere quello che voleva nascondere, e non aveva la minima intenzione di farle capire che si faceva di Blast più volte al giorno e che non avrebbe potuto smettere a causa di una dipendenza esistente già da anni alla quale si era completamente abbandonato.
Avrebbe voluto trovare la forza per chiederle aiuto, avrebbe voluto davvero, ma l'affetto che provava per lei era più grande del suo egoismo. Nascondendole la sua dipendenza era convinto di proteggerla, e questo gli bastava.
"Ti ho comprato una cosa."
Lydia si girò a guardarlo, i ricci spettinati dal vento. Da lassù Capital City sembrava quasi bella, un tripudio di luci che ti portavano a dimenticare quanto quella città fosse artificiale, ma il modo in cui quella ragazza lo guardava faceva apparire i suoi occhi come la cosa più spettacolare del 'Verse, più di quelle luci. Nessuno lo aveva mai guardato così, scavando a fondo nella sua anima. Lo sguardo di Lydia riusciva a penetrare la carne, spezzargli le ossa, stringergli il cuore. Si amavano, ma nessuno dei due lo aveva mai detto all'altro, e probabilmente nemmeno erano intenzionati a farlo. 
"Non dovevi. Non ho fatto nulla per meritarmi un regalo."
"Io volevo fartelo, quindi non ribattere."
Le porse un nastro di raso borgogna, che pareva catturare i riflessi di tutte quelle luci: quelle della città, quelle delle stelle e quelle degli occhi di Lydia.
"E' un colore che ti dona" le spiegò, avvicinandosi a lei ulteriormente e facendole inclinare il capo in modo da poterle raccogliere i capelli con un fiocco. Ne approfittò per avvicinare il naso ai suoi ricci e inalarne il profumo, tanto da portarlo con sé fino al giorno successivo, fino a quando non si sarebbero visti di nuovo.

"Grazie." 
Era povera di parole, ma lui riusciva a percepirne la gratitudine, tanto che la fece voltare e la baciò come se non ci fosse un domani. Rimasero attaccati per un po', almeno finché lei non si staccò per cercare lo sguardo di lui. 
"Ryan, voglio andarmene di casa, voglio stare con te. Voglio fare quello che fai tu."
"E' un lavoro pericoloso."
"Ma io lo voglio fare."
Lydia era così vitale, piena di rabbia, di voglia di combattere che gli venne voglia di baciarla ancora.
"A volte si rischia di morire."
"Non m'importa. Non ho paura di morire."
"Dovresti averne. Chi ha paura di morire vive più intensamente."
"Chi non ha paura di morire non teme nemmeno l'intensità dei sentimenti, né le persone. Chi non ha paura di morire non ha nemmeno paura di vivere."
A volte l'intelligenza di Lydia lo spiazzava. Se ne usciva con quei commenti a cui non riusciva a replicare in alcun modo, poiché era impossibile darle torto. 
Lydia era così coraggiosa, lui invece no. Lui non aveva paura di vivere, ma da quando quella ragazza minuta e dagli occhi sinceri era entrata nella sua vita iniziò a temere la morte.
Sapeva che prima o poi la sua dipendenza lo avrebbe fottuto, gli avrebbe succhiato via la vita lasciando il suo corpo vuoto e freddo tra le braccia della donna che lo amava, lasciandola distrutta.
Ryan era un mercenario frenato dalla paura di far soffrire qualcuno. Lydia era una donna pericolosa, troppo viva per lasciarlo indifferente, e lui era un uomo spacciato, condannato, che non riusciva a trovare il coraggio di staccarsi da lei prima che fosse troppo tardi.
E inevitabilmente, sapeva che prima o poi lo sarebbe stato. 
Troppo tardi.

Fear of the dark

Lo spazio ignoto.
Non credevo avremmo sentito l'oscurità premere così tanto contro la Banshee, scivolare all'interno della plancia e rendere l'aria così densa di tensione, di paura. 
La nostra giovane addetta ai sensori stava parlando dei Marauders con voce tremante quando i nostri sensori hanno rilevato qualcosa di anomalo e spaventosamente grande. I valori di massa e stazza erano totalmente fuori scala rispetto a qualsiasi vascello conosciuto, si trattava di qualcosa di enorme che supera sicuramente di cinque volte una corazzata pesante alleata. Gli ASU-3 hanno rilevato trenta tubi di lancia siluri e banchi laser, e a bordo c'erano più di tremila persone. Non credevo ai miei occhi mentre osservavo lo schermo di fronte a me. Una cosa del genere potrebbe demolire un'intera luna, è incredibile. Noi, sulla nostra Firefly, eravamo delle formichine indifese di fronte a una vera e propria città volante. 
Ho avuto paura quando ci hanno agganciati.
Mi è venuta in mente la nostra nave distrutta, l'equipaggio fatto a pezzi da qualcosa di sconosciuto e immensamente superiore a noi. Le nostre vite avrebbero potuto finire lì, in mezzo al nulla, senza che noi potessimo difenderci in alcun modo.
Per questo ho dato immediatamente ordine di disingaggiarci e attivare il booster. Siamo riusciti a scappare, e onestamente credo sia stato possibile solamente perché abbiamo agito in modo rapido. Un solo istante in più e ci avrebbero silurati.
Ora non riesco a fare a meno di domandarmi che cosa ci fosse lì davanti a noi, pronto a mangiarci vivi.
Che i Marauders delle leggende siano veri? Eppure non riesco a fare a meno di domandarmi, nel caso la risposta fosse affermativa, come possano essere così ben organizzati.
Potrebbero essere, in alternativa, degli Indipendentisti disertori. Si dice che John Roscoe il Grizzly abbia rubato un incrociatore con un manipolo di uomini e sia sparito, ma come si è procurato tremila uomini e tutte quelle armi?
Il mio stomaco fa le capriole se penso a quanto pericolosa sia quella "cosa" e a quanto importanti siano i dati che abbiamo rilevato.
Ho intenzione di alzare il prezzo con la Blue Sun e indagare, perché non credo nella vita si possano vivere spesso cose del genere. E' un'incognita troppo grande, troppo letale perché io me la lasci scivolare via dalle mani con così tanta facilità.
Lo spazio ignoto nasconde un sacco di insidie segrete, e io ho intenzione di svelarne una, costi quel che costi, perché la paura che ho provato non ha fatto che rendermi più determinata.
Mi mancava quella sensazione, i muscoli del corpo tesi all'inverosimile e il cuore che batte all'impazzata nel petto, minacciando di sfondarlo. In questi ultimi giorni non ho fatto che sentirmi morta, e solo il rischio riesce a farmi sentire così viva. Mi era mancato da impazzire, come fosse una droga da cui non posso disintossicarmi. Questo mio amore per il pericolo non mi permette di avere abbastanza paura da non rischiare.
Perché non si può avere paura di ciò che non si conosce.